cunti ri briganti

CUNTI   RI   BRIGANTI

  Tra i tanti argomenti dei racconti cusitani, narrati nella penombra delle lunghissime serate invernali intorno al focolare, dove ognuno cercava di raggiungere un pizzico di calore, con la lampadina da poche candele che si accendeva e dopo un poco si spegneva a causa della corrente elettrica che ad ogni soffio di vento andava via, un posto di primo piano lo rivestivano i racconti dei briganti.

  Mitici briganti! Barbe lunghe, cappellacci in testa e “scuppetta” sempre pronta a sparare. Pronti a rubare ai ricchi per dare ai poveri. Violenti ed al tempo stesso capaci di grandi tenerezze.

  Ho sempre pensato che tutti noi figli di queste terre senza nome discendiamo almeno un pò dai “briganti”. Gente riparata in queste contrade allora difficilmente accessibili anche alle autorità costituite.

  Si fuggiva nel “basso cilento”, come in epoche successive si è fuggiti in Cile o Argentina, perchè difficilmente qualcuno (anche autorità) poteva venire a trovarti.

  Patrioti, visionari o delinquenti!?

  Un giorno, tanti anni fa, in casa mia arrivarono i briganti.

Gli uomini erano fuori casa impegnati nei lavori quotidiani.

Le donne, spaventate gridavano e cercavano di dare riparo ai bambini.

In uno “spurtune” un bimbo piccolo, fasciato ed immobilizzato come allora si usava, cominciò a piangere e disperarsi attirando l’attenzione di quello che sembrava il capo dei briganti.

Si temette il peggio.

Le donne pensarono ad un rapimento.

Il brigante si avvicinò, prese il bambino in braccio e, resosi conto che gli altri compagni di scorreria avevano preso abbastanza cibo da portare via, dopo aver dato un bacio al piccolo lo ripose nella cesta.

Avvicinatosi alla donna più anziana le mise in mano un piccolo ciondolo e disse: “questo ciondolo è per il bambino, gli porterà fortuna”.

Quel bambino era mio nonno.

Quel ciondolo, che io ancora conservo, è formato, a sua volta da sette piccoli ciondolini collegati tra loro da uno stilizzato numero 13 (appunto un segno di fortuna).

Altro numero che ricorre nel “mito brigantesco” è il sette.

Il sette, che gia in espressioni bibliche rappresenta un numero grandissimo, di grande potenza (sette volte sette, settanta volte sette, ecc.), e che nel corso dei secoli ha rappresentato magnificenza (sette cieli), grande vitalità (sette spiriti come i gatti), o sicurezza (chiudere una cosa con sette sigilli), nello spiritualismo dei briganti richiama la forza e la ricerca di sicurezza nella proprietà:

in un vicoletto del mio paese esiste una “scaliatella” (tipica architettura dei nostri centri storici dove la scala esterna permette l’accesso diretto al primo piano dell’abitazione lasciando il sottostante piano terra indipendente per la stalla, il pollaio, il porcile ecc.) nelle cui mura fu nascosto, dai briganti, un tesoro.

 

Questo tesoro (a mo di combinazione di cassaforte) è sottoposto ad  un “vincolo”.

Il “vincolo” a cui è legato questo tesoro non permetterà il ritrovamento dello stesso se non in concomitanza con “la morte di sette fratelli”.

 

I miei paesani le hanno provate tutte: sono andati nel vicoletto ed hanno ammazzato sette galletti, sette conigli, sette agnelli… ma niente. Si sono fermati ed hanno desistito quando hanno pensato che … forse … il “vincolo” era riferito a sette persone.

Un altro tesoro dei briganti aspetta di essere ritrovato.

Questa volta si trova su, in montagna. Poco distante dalla vetta del monte Bulgheria.

I briganti l’hanno nascosto in un “hafaro” (cavità carsica che scende per centinaia di metri nelle viscere della terra).

Pare che questo “hafaro” abbia, a pochi metri dall’apertura, un’ampia cavità laterale in cui i briganti avevano organizzato un loro rifugio.

Qualcuno ha provato a recuperare il tesoro, ed armato di funi, luci, sacchi e quant’altro potesse servire al recupero, ha tentato di scendere nel vuoto. Aveva però dimenticato, o sottovalutato, i “vincoli” dei briganti.

Questa volta per custodire il loro tesoro i briganti si sono rivolti ad un altro loro grande amico: il gatto. Quando l’improvvisato speleologo fu quasi per affacciarsi sull’antro custode del tesoro e già prefigurava grandi banchetti e bevute con gli amici,  si ritrovò col sangue gelato nelle vene ed un brivido di terrore lungo la schiena: un enorme gatto dal pelo nero e dagli occhi di fuoco, con le unghie lunghe due spanne, gli ringhiò minaccioso con un ghigno infernale.

Il poverino rischiò di precipitare nel baratro.

Si salvò per la presenza dell’amico che lo attendeva fuori dalla cavità il quale nel sentire tutto quel frastuono pensò bene di tirare la fune a cui era appeso il compagno. I due fuggirono di gran carriera e tornati in paese raccontarono l’accaduto.

Mai più nessuno ha tentato di recuperare il tesoro.